Ogni volta che apro un metro
di pista ciclabile, penso che forse, grazie a quel tratto
di percorso protetto, un bambino eviterà il paraurti
di un’auto e una famiglia non correrà disperata
all’ospedale. E allo stesso tempo penso che se quel
tratto di pista ciclabile lo avessi aperto qualche anno fa,
forse avrei evitato qualche incidente. Ecco perché
sto correndo contro il tempo per le piste ciclabili. Ecco
perché la città è piena di cantieri,
ecco perché forse stiamo esagerando – lo ammetto
– aprendo cantieri a più non posso e attirandoci
più di qualche volta le ire dei cittadini. Ma penso
che il nostro Paese, la nostra città sia in grave ritardo
in tema di sicurezza stradale dei nostri figli. E se continuo
a battere sul tasto della ciclabilità e della pedonalità
è perché penso che finchè non cambiamo
mentalità e non capiamo che la città deve essere
a misura del cittadino più debole, vivremo sempre male.
Perché, lo sappiamo tutti, la macchina è pericolosa,
soprattutto in città – il 70 per cento degli
incidenti avviene nelle aree urbane - eppure continuiamo a
credere che tutela dei deboli e prepotere dell’auto
siano concetti facilmente conciliabili.
E’ vero il contrario. Auto e bici, auto e pedoni possono
convivere solo se costruiamo una situazione protetta per i
più deboli, i pedoni e le bici. Ma non voglio parlarne
in modo astratto. Pedoni e ciclisti sono i nostri nonni, i
nostri zii, i nostri figli.
Ogni volta che succede una tragedia come quella di San Donà,
con un ragazzo di 13 anni che muore sotto una macchina (anche
mio figlio ha quell’età), rabbrividisco e posso
immaginare la paura , lo sgomento, lo sconforto di quei genitori
che hanno figli di quell’età e che vanno a scuola
in bicicletta, correndo a più non posso, come è
giusto che sia a quell’età.
Ma dopo un paio di giorni mi rendo conto che la disperazione
per la tragedia non si trasforma in altrettanta consapevolezza.
Ed è proprio perché io non voglio che questa
Amministrazione sia accusata di piangere lacrime di coccodrillo
che faccio l’impossibile per realizzare quello che doveva
essere realizzato già vent’anni fa, cioè
una rete di piste ciclabili che siano sicure per noi ed i
nostri figli, per i tanti che ogni giorno vanno a scuola o
a lezione di chitarra, che corrono a casa degli amici a giocare
alla play station o a vedere un film.
Quel che voglio dire ai miei concittadini è che stiamo
facendo le cose giuste, assolutamente giuste e mi dispiace
che più di una volta sembri che le stiamo facendo “contro”.
Penso alle continue prese di posizione contro le nuove piste
ciclabili – che portano via i parcheggi sotto casa,
che sono troppe, che invadono ogni centimetro quadrato, ma
le piste ciclabili servono ad evitare le tragedie.
Così come le zone a traffico limitato.
Così come i 30 chilometri orari imposti nelle vicinanze
delle scuole.
Se noi non vogliamo continuare a piangere i nostri ragazzi,
se non vogliamo distruggere il nostro ed il loro futuro, dobbiamo
fare esattamente questo e cioè più marciapiedi
e più sicuri, più piste ciclabili e più
sicure, più servizio pubblico e meno auto.
A tutti, o quasi, piacerebbe avere strade vuote e correre
a 200 all’ora.
Non nego che la velocità continui ad avere un gran
fascino, dal Futurismo in poi, ma dobbiamo renderrci conto,
sul serio e non a parole, che la velocità è
sinonimo di pericolosità. Al volante ci sentiamo tutti
piloti di formula uno, ma se siamo il primo Paese in Europa
per incidenti stradali, allora dobbiamo smetterla di parlarci
addosso, dobbiamo smetterla di organizzare convegni su convegni
ed investire, invece, più soldi possibile nella sicurezza.
E parlo anche di repressione.
Chi non rispetta le strisce pedonali, chi non rispetta i limiti
di velocità, chi salta il semaforo rosso, come mi è
capitato di vedere davanti il passaggio pedonale di una scuola
media superiore, va sanzionato in modo molto pesante.
Le statistiche europee ci dicono che stanno diminuendo gli
incidenti che coinvolgono gli automobilisti, ma purtroppo
stanno aumentando gli i incidenti che riguardano ciclisti
e pedoni. La prima causa di morte per i ragazzi dai 14 ai
24 anni è l’incidente stradale. Ma la statistica
non dice che quei morti sono i nostri figli, i nostri nipoti,
i figli dei nostri amici.
Basta, l’automobile ci sta portando via i nostri ragazzi,
dobbiamo proteggerli. I loro percorsi in bicicletta devono
diventare sicuri. Subito.
* Assessore alla Mobilità del Comune di Venezia
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